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Dissesto idrogeologico veneto: ad ognuno il suo mestiere!

29.05.13

Assistiamo in queste settimane a reiterati annunci, non senza una certa vena trionfalistica, sul “basta al consumo del territorio” e “no alla cementificazione” del Veneto, avanzata in questi ultimi decenni in maniera ossessiva e decisamente insostenibile, e certo una importante concausa del dissesto idrogeologico..

Per brevità possiamo tralasciare almeno due fatti ovvi:

1. che ad invertire la tendenza siano gli stessi che hanno fatto i danni, dalla politica al mondo imprenditoriale e finanziario del Veneto, è quantomeno curioso

2. che se c’è, come c’è, un rallentamento della cementificazione, non lo decidono certo Zaia, Ruffato e/o Zanonato, ma il mercato e la inevitabile decrescita a cui stiamo assistendo – come non vedere capannoni vuoti, case sfitte e minor traffico?

Ma la cosa che più mi sorprende sono gli annunci del cosiddetto “mondo agricolo”, Coldiretti in testa, come se questo rallentamento della cementificazione fosse una vittoria dell’agricoltura, e l’alternativa al dissesto fosse quel mitico contadino “custode del territorio”, attore principale della custodia del paesaggio, dell’ambiente e delle tradizioni.

Quel tipo di figura spesso mistificata ed utilizzata a fini emozionali e pubblicitari.

A ben vedere invece ciò che si vede in giro sono enormi trattori agricoli “stradali” (n.d.r. alimentati a gasolio agricolo agevolato) che corrono in qua e in la per Veneto e Ferrarese a tirare su grano e mais destinati agli impianti di biogas; ovviamente raccolti la cui conduzione ed il cui consumo energetico “non rinnovabile” sono esattamente il contrario degli incentivi per le energie “rinnovabili” che vengono copiosamente loro erogati. E va di lusso se negli impianti ci vanno solo i raccolti, pare che in qualche caso ci vada anche altro, a leggere i giornali sulle analisi chimiche dei fanghi derivanti dalla “digestione”.

Staccati i rimorchi, occorre poi distribuire da qualche parte nei terreni il “digestato”, con le autobotti. Essendo il prodotto di una digestione anaerobica è inevitabilmente carico di batteri e virus patogeni (n.d.r. tra gli altri certamente il tetano ed il botulino). Pare che in Germania sia questa la pista da seguire per capire come il famoso Escherichia Coli abbia potuto fare i morti che ha fatto tempo fa.

Insomma, un’attività industriale a tutti gli effetti, che ha ormai poco a che vedere con l’agricoltura (per approfondire clicca Digestato - Albios 48).

Un effetto non trascurabile è la difficoltà per chi continua a fare l’allevatore a trovare superfici dove raccogliere fieno, poiché i benefici della bolletta elettrica per il biogas, uniti ai contributi della PAC (Politica Agricola Comunitaria), di fatto costituiscono una rendita per i proprietari dei terreni, che non li rendono così disponibili sul mercato degli affitti alle “vere” imprese agricole.

Ovviamente nei campi non c’è posto per nessun essere vivente vegetale diverso dalla monocoltura che si pratica (l’utilizzo di prodotti diserbanti e disseccanti, come il Glyfosate, è aumentato del 30% in poco tempo), né di attenzione verso inerbimenti ed alberature lungo i corsi d’acqua. Tutto questo ha effetti pesanti sulla capacità dei terreni di trattenere le acque meteoriche.

E’ noto che in grandi aziende agricole locali le famose siepi, finanziate copiosamente coi fondi dei vari PSR (Piani di Sviluppo Rurale Regionali, fondi della U.E. che escono direttamente dalle tasche dei contribuenti), finiti i 5-7 anni di impegno, vengono distrutte e sotterrate, in attesa del prossimo finanziamento.

Oppure parliamo del comprensorio del Prosecco dei Colli Trevigiani? Che stanno letteralmente venendo giù, avendo messo vigne dappertutto, senza attenzione alla fragilità del contesto ambientale, rincorrendo un’idea di mercato a brevissimo respiro, il tempo che si assuma coscienza sul reale impatto ambientale e sanitario della coltivazione convenzionale.

E’ vero che io parlo dalla posizione di chi da decenni sta proponendo e praticando, con lusinghiero successo devo dire, il modello agricoltura biologica, il più possibile locale.

Dico il più possibile perché il nostro Veneto conta uno strano record nel biologico: è tra le prime due Regioni italiane per fatturato e consumi, ma tra le ultime due come incidenza della produzione agricola bio sul totale regionale.

Non è un caso che il PSR Veneto di cui sopra sia tra quelli in Italia che penalizzano di più chi pratica l’agricoltura biologica.

Basta uscire dai confini regionali e subito si avrebbero altri incentivi e riconoscimenti, e soprattutto, meno assistenzialismo e più riconoscimento degli indubbi benefici sanitari, sociali, ambientali ed, appunto, idrogeologici, di un approccio più responsabile all’agricoltura.

Se di dignità d’impresa si vuole parlare, e di questo c’è bisogno in agricoltura, io sono tra quelli che reclamano più fatti e meno annunci, grazie.

Franco Zecchinato – Associazione Italiana per l’Agricoltura del Veneto

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